mercoledì 31 dicembre 2008

Nelle nostre feste più belle...

Se mi uccidono
appoggiatemi a una roccia,
il viso rivolto al vento,
ch’io muoia
sotto le nubi della sera,
nell’erba del mattino.

Se muoio nel mio letto,
mettetemi nudo sulla terra,
su una collina del mio paese,
e che l’oblio mi liberi;
o ricordatevi di me,
durante le vostre feste più belle.

(‘Testamento’, di Samih Al Kassem, poeta palestinese)








"Quello in corso a Gaza è un massacro,non è un bombardamento, è un crimine di guerra e ancora una volta nessuno lo dice"
padre Manauel Musallam, parroco a Gaza, 27 dicembre 2008

Se avessi anch'io fatto il mio dovere di uomo, se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere, la mia volontà, sarebbe successo? E perciò è necessario che spariscano gli indifferenti, gli scettici, quelli che usufruiscono del poco bene che l'attività di pochi procura, e non vogliono prendersi la responsabilità del molto male che la loro assenza dalla lotta lascia preparare e succedere. (Antonio Gramsci)

La citazione di Gramsci compare in un articolo, pubblicato dal Manifesto nel 2002, del fisico Daniel Amit, israeliano, cittadino italiano dal 1999, grande pioniere nello studio delle reti neurali, recentemente scomparso. Daniel Amit era nato in Polonia nel 1930, immigrato in Palestina nel 1940, e' stato professore di Fisica prima a Gerusalemme quindi a Roma dal 1991, dove ha preso la cittadinanza italiana. Oltre ad essere un grande ricercatore, Daniel Amit era noto per il suo impegno di pace soprattutto (ma non solo) rispetto al conflitto israelo-palestinese.
Questi sono alcuni stralci dal sito della Rete Ebrei Contro l'occupazione.

Come israeliano Daniel si sentiva responsabile in prima persona per le scelte sciagurate dei vari governi israeliani. Nello stesso articolo scriveva: "Quando si torna da laggiù, (I territori palestinesi) si capisce un po' l'incubo di Primo Levi, che sogna di essere tornato nella sua Torino, e attorno a un tavolo, a cena, di cominciare a raccontare Aushwitz, e si accorge che nessuno lo sta ascoltando (non perché Ramallah assomigli ad Aushwitz, o perché io sono un reduce di Ramallah, ma perché gli orrori non si possono raccontare abbastanza, e ascoltarli o leggerli è sempre troppo".)
E rispondendo ad alcune lettere, sempre sul "Manifesto" nel gennaio 2002, che difendevano con motivazioni ipocrite e pretestuose l'operato di Israele usando come scudo la Shoah, scriveva:
"Qui l'oggetto non è tra pratiche palestinesi e valore della Shoah, ma fra queste e i comportamenti di Israele. Basterebbe guardare le statistiche con più di 1200 palestinesi uccisi negli ultimi 15 mesi, per vedere quanti bambini, donne, vecchi, vi figurano. E la distruzione solo 3-4 giorni fa di 30 abitazioni a Rafah, nella Striscia di Gaza lasciando 500 persone senza tetto, in che categoria va messa rispetto alle memorie e le lezioni della Shoah'?.Come affermano a testa alta i 53 militari,(obiettori) Israele non si salva con le bugie, né con l'annientamento di un altro popolo: Il futuro di Israele si salverà e si salderà unicamente con i valori della Shoah, quelli autentici, della percezione della sofferenza dell'altro, con il rispetto dei diritti dell'altro. In termini pratici con l'eliminazione delle colonie (tutte) che sono ciascuna in se un atto di violenza e di illegalità, con l'accettazione che "i territori occupati non sono Israele".
E rispondendo a Gad Lerner in un articolo dell'aprile 2002 sempre sul Manifesto scriveva a proposito del terrorismo:
"Noi israeliani sappiamo che il problema di fondo non è il terrorismo palestinese. E' l'occupazione militare, la negazione di tutti i diritti e in contravvenzione di tutte le risoluzioni dell'ONU e l'esproprio legato alla costruzione e all'espansione delle colonie. Non come dice Lerner dal 1993, ma dal 1967. E' imperdonabilmente miope attribuire a una strategia palestinese il terrorismo. Il terrorismo è una via senza uscita e lo sanno i palestinesi ben prima di noi, anzi lo considerano un pericolo mortale per la loro società futura, post- occupazione. Il terrorismo, serve come pretesto a Sharon, che non ha alcuna politica alternativa alla guerra, a Bush per distruggere l'Afghanistan e forse a qualcuno in Italia.
"Non dimentichiamo che il terrorismo suicida non esisteva affatto fino a sei-sette anni fa, ma l'occupazione invece si. Non riusciamo a non leggerlo come un frutto partorito dall'occupazione.. E' perciò che quando un israeliano con gli occhi aperti si trova di fronte a un atto di terrorismo orrendo risponde come Nurit Peled, la cui figlia è stata uccisa in un'esplosione a Gerusalemme, a Netanyahu "E' colpa tua".
Anche sul Ruolo dell'Unifil nel sud del Libano Daniel aveva le idee chiare, scriveva nel 2006 a proposito della missione:
"Le notizie dal fronte pacifista italiano, testimoniano di una sindrome simile a quella della sinistra israeliana. Sembra una corsa al sostegno del ruolo italiano nel sud-Libano come forza militare sotto l'egidia dell'ONU. Da un lato appare una rivincita sul ruolo italiano umiliante e assai controverso in Irak, in Afganistan, in Kosovo. Le considerazioni politiche della guerra e del dopo-guerra nel Libano sono del tutto assenti: Unica cosa che si propone come giustificazione di quella esultanza è il fatto che l'intervento militare (perché di intervento militare sitratta) è coperto dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza: Sembra proprio quella tipica euforia legata al rovesciamento dei ruoli: eravamo in forte opposizione alla presenza militare italiana in Irak perché non era sancita dall'ONU: Ora stiamo orgogliosamente a favore perchè i nostri sono al governo e l'ONU siamo noi."
La perdita di Daniel, della sua sensibilità umana e politica che lo rendeva capace di leggere così attentamente ed empaticamente la realtà ci lascia oggi attoniti e un po' più soli nel contrastare una situazione "straziante per l'assenza di qualsiasi opposizione correttiva che rende la vita insopportabile, in primo luogo a una generazione abituata alla mobilitazione, alla lotta politica effettiva, per rendere veritiero lo slogan "mai più".
Miriam Marino per la Rete Ebrei Contro l'Occupazione.

Il sito della rete - http://www.rete-eco.it/ - è al momento irraggiungibile.
Esiste un sito europeo degli "ebrei d' Europa contro l' occupazione":
http://www.ejjp.org/che invece funziona regolarmente.

mercoledì 24 dicembre 2008

Tempo di auguri?


Tempo di auguri? Certo, è la scadenza annuale, timbriamo pure il cartellino.
Malgrado le intenzioni e i preparativi, forse non sarò a Kraljevo, a Capodanno, fisicamente, almeno. Col cuore si. Ancora una volta, a srce u Srbiji.
‘Colpa’ un po’ dei giorni contati, un po’ della retribuzione che, malgrado il ministro-dai-tre-stipendi la giudichi esorbitante, costringe a fare delle scelte (e a rimandare viaggi). Ma il cuore è sempre lì. E anche altrove. Non è retorica, retorica sono le stucchevoli dichiarazioni che sentiremo in televisione, le ipocrite beneficienze con le quali si rifanno il trucco i responsabili dei disastri e dei massacri (memorabile la vignetta di Vauro con la Morte che si rifaceva il trucco dopo la distruzione dell’Iraq, prima dell’intervento dei ‘ricostruttori’). Ipocrita è l’impegno di tutti quelli che non hanno mosso un dito per evitare tutto questo e che ora spendono tempo, energie, interpellanze, denunce per torturare una ragazza in coma e suo padre, che ancora non può permettersi il dignitoso e sacrosanto diritto di vivere il proprio dolore con addosso le unghie di questi ipocriti ‘difensori della vita’.
Ci sono bambini che stanno morendo e che, loro si, potevano e potrebbero essere salvati. Ma con loro non ci si fa pubblicità, non si guadagnano posti in paradiso e non ci si sente più buoni conversando nei salotti. Ecco perché noi, a natale, continuiamo a fare quello che facciamo sempre. Solidarietà, condivisione, compassione (nel senso di condividere la passione); non per sentirci più buoni, perché è quello che sentiamo di dover fare. Perché del paradiso in cielo non sappiamo nulla, ma cerchiamo, per noi e per gli altri, di rendere meno infernale questa terra. Non solo a Natale. Buon Natale.
Vuk (Lupo)

venerdì 5 dicembre 2008

Fatalità prossime venture

E’ un po’ triste che una direttrice scolastica debba affidarsi al Gabibbo o ad un suo collega, per denunciare il degrado della propria scuola. Per chi sogna ancora un società dove l’educazione, o almeno la salute di alunne e alunni, sia tenuta in considerazione, è deprimente vedere che solo attraverso lo spettacolo, e non attraverso le segnalazioni alle autorità competenti, si possa informare sul rischio di prossime ‘fatalità’. L’attenzione, poi, è quella del grande pubblico: facile da catturare quanto da dirottare; le autorità competenti le situazioni di degrado le conoscono, perché le segnalazioni vengono fatte in continuazione. Solo che i soldi non ci sono. Servono per comprare elicotteri da guerra (sulle spese militari un governo vale l’altro), magari per bombardare scuole in altri paesi, o per salvare banche o svendere compagnie aeree agli amici. Eccetera eccetera.



Ci sono scuole dove bambini e insegnanti sono sottoposti all’esposizione continua di polveri sottili (aerei che per atterrare planano a pochi metri, è il caso di dirlo, dal tetto scolastico), e a livelli di radon (gas pericoloso) parecchio oltre la norma. Problemi da anni segnalati, ma mai presi in considerazione. C’è una legge europea che impone la messa a norma degli edifici. Ma, appunto, abbiamo comprato troppi elicotteri da guerra, e alla scuola le risorse è usuale toglierle (senza ridargliele, se non è privata).

Che poi, nelle stesse scuole, piova, che i muri portanti siano intrisi d’acqua, che cada l’intonaco in testa ai bambini nella mensa (dove le pareti sono ricoperte di muffa), alla fine è il problema minore. Se praticamente tutte e tutti le/gli insegnanti stiano male (anche le più giovani), pazienza, tanto sono solo insegnanti, secondo il moralizzatore-dai-tre-stipendi comunque guadagnano troppo e lavorano poco, se lo meritano. Ma che i bambini mangino in mense con la muffa per l’umidità e respirino per otto ore il radon e le polveri sottili, importa a qualcuno?
Le segnalazioni vengono fatte in quantità, dai dirigenti scolastici. E’ tuttavia drammaticamente probabile che la sola segnalazione che consentirà di ricostruire A NORMA scuole che sono un’indecenza igienica e, in quanto luoghi che ospitano bambine e bambini, anche una vergogna morale ed etica, è forse quella dei vari tg che annunceranno l’ennesima ‘fatalità’.


Gocce di pioggia fuori, macchie di umidità dentro: ma il temporale c'era stato il giorno prima

E allora continuiamo a raccogliere materiale, video, ad inviare segnalazioni. Almeno, non diranno che, sotto sotto, la responsabilità è (tanto per cambiare) degli insegnanti che non avevano segnalato…
Continueranno tutti, però, compreso il datore di lavoro dei telegiornali da spettacolo (neanche i peggiori, visto certe rassegne di veline giornalistiche), ad inventarsi stanziamenti per le scuole dopo aver fatto passare di prepotenza riforme che tolgono fondi alle scuole (pubbliche), e continueranno a invocare la mancanza di risorse mentre nessuno tra i velini pseudo-giornalisti avrà la dignità di ricordargli che, prima di bombardare le scuole altrui, si potrebbero almeno sistemare le proprie. Ma a chi fa comodo l’educazione?


Muro (portante?) dopo un anno dai lavori


E le solite insegnanti-ragazzine, che pretendono?


"Scrivo a chi come me ha ancora sensibilità e cerca di vivere la scuolacome arricchimento sotto molteplici punti di vista umani, sociali, professionali e tanto altro che non sto qui ad elencare. Sono profondamente indignata dopo il crollo del soffitto nella scuola di Rivoli e altrettanto per le dichiarazioni fatte in merito dal Presidente delConsiglio il quale ha affermato che quanto è accaduto risulta frutto di una fatalità. Con quale scarso senso di responsabilità si può dire che dipende dal fato se un soffitto crolla su dei ragazzi all'interno di una scuola uccidendo un giovane e ferendone altri tra cui uno in modo grave, se ce la fa forse rimane paralizzato! Come si può affermare che tutto ciò non era prevedibile in quanto gli insegnanti ci facevano regolarmente lezione senza denunciare il probabile pericolo! Forse allo stato attuale gli insegnanti oltre a formare insieme alla famiglia gli alunni, ad insegnare il sapere , ad essere divenuti tuttologi, ad essere fannulloni, ad andare al lavoro in precarie condizioni di salute, in quanto mancano i soldi per le sostituzioni, devono altresì divenire tecnici, geometri e cos'altro ancora per garantire la propria sicurezza e quella degli alunni a loro affidati. Io credo senza condizioni che ciò accaduto a Rivoli non è una fatalità ma un evento tragico dovuto alla scarsa e continua disattenzione nei confronti della scuola pubblica dove non si investe ma si taglia su tutto con la scusa degli sprechi e della razionalizzazione. Nella scuola dove lavoro si denuncia in continuazione la mancanza di sicurezza dovuta all'inadeguatezza dell'edificio ma nessuno di chi di dovere si muove! Eppure Bertolaso ha detto che i soldi stanziati per la sicurezza degli edifici scolastici, all'indomani del crollo di SanGiuliano sono ancora da spendere perché le commissioni devono scegliere quali sono le scuole meno sicure e che hanno la priorità per gli interventi. SONO PASSATI CINQUE ANNI!!! Chissà se i genitori, i familiari, i compagni e i docenti del ragazzo deceduto pensano che sia stata una fatalità. Chissà se la sua famiglia pensa che è una fatalità non vedere più il suo sorriso, non sentire più la sua voce, non percepire più la sua presenza in casa, non potere progettare il suo futuro insieme. E per il ragazzo che lotta tra la vita e la morte chissà se i genitori pensano che sia una fatalità aspettare, pregare e sperare in buone notizie per il proprio figlio e chiedere a chi può più di noi di farlo ritornare come era la mattina prima di entrare nella scuola che dovrebbe essere stato un luogo che accoglie tutti in sicurezza. Io molto umilmente penso che tutto ciò è TRAGEDIA-DOLORE-LUTTO-SOFFERENZA ma non fatalità e che probabilmente si sarebbe potuto evitare. L'impressione è che stiamo diventando sempre di più figli di un dio minore. Chiedo scusa per lo sfogo e chiedo anche di essere uniti non solo per garantire il diritto allo studio, al futuro ma anche alla sicurezza. Vigiliamo e denunciamo perché non accadano più eventi così tragici. Un pensiero di LUCE alla famiglia di Vito che ci ha lasciato e a tutte lepersone che stanno soffrendo per il disastro dovuto al crollo del soffitto che l'amore e la forza ad andare avanti siano con loro, specialmente per i ragazzi della scuola.
Buonanotte, A."

martedì 25 novembre 2008

A mio padre

A mio padre (Alfonso Gatto, 1945 "La storia delle vittime")



Se mi tornassi questa sera accanto

lungo la via dove scende l'ombra

azzurra già che sembra primavera,

per dirti quanto è buio il mondo e come

ai nostri sogni libertà s'accenda

di speranze di poveri di cielo,

io troverei un pianto da bambino

e gli occhi aperti di sorriso, neri

neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,

un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.

Ora alla terra è un'ombra la memoria

della tua voce che diceva ai figli:

"Com'è bella la notte e com'è buona

ad amarci così con l'aria in piena

fin dentro al sonno". Tu vedevi il mondo

nel plenilunio sporgente a quel cielo,

gli uomini incamminati verso l'alba.

giovedì 20 novembre 2008

Dedicato a Liang, Esteban, Mirela, Pietro, Dorjan, ...


Dedicato a Liang, Esteban, Mirela, Pietro, Dorjan, …
e a tutti gli altri alunni e alunne che, nelle classi che ho frequentato, hanno imparato senza problemi l’italiano e hanno permesso a tutti noi di imparare, insieme a loro, un mucchio di cose ancora più importanti. E dedicato anche agli analfabeti culturali di questo paese da operetta, che non hanno imparato nulla della vita e che legiferano sulla pelle dei bambini.

Approfittando della battuta, di un alunno, sul proverbio dell’ospite “che dopo tre giorni puzza”, abbiamo riflettuto molto. Il proverbio nasce da lontano, da molto lontano. Da quando, come indica la radice, identica, delle parole ‘nemico’ e ‘ospite’, lo straniero che arrivava nella comunità rappresentava il ‘di fuori’ rispetto alla sicurezza del gruppo, in un'epoca in cui, fuori dal villaggio o dalla polis, c’era l’ignoto, e il pericolo sconosciuto. Allora all’ospite era concesso un periodo ‘insieme’ agli altri, mediato dalle regole che imponevano rispetto e ‘ospitalità’ verso il nuovo arrivato. Dopo un certo periodo, se lo straniero non diventava ‘uno del gruppo’, doveva andarsene, perché la sua ‘diversità’, rimanendo tale, diveniva ‘ostile’, pericolo per tutti.
Dopo tre giorni, se non sei diventato uno ‘della famiglia’, la tua condizione di straniero muta in quella di ‘ostile’, di nemico; tutto ciò che io ti dono, come ospitante, diviene un approfittarsi, da parte tua. Ma se diventi uno di noi non sei più uno straniero, sei uno di famiglia.
I bambini stranieri, che certi scienziati dell’educazione vogliono segregare (usiamo le parole giuste) in altre classi, non diventeranno mai ‘di famiglia’, integrati o meno. Perché non saranno mai passati dalla condizione di ospiti. Entreranno comunque come stranieri, senza periodi di mediazione insieme alla comunità. Stranieri che arrivano dopo una sorta di quarantena, stranieri da cui è lecito guardarsi.
Il ponte per ciò che chiamiamo integrazione, non è la classe-ghetto, ma la stessa classe che poi diventerà la propria. Dopo tre giorni o dopo tre mesi, in questo caso non importa, sei un ospite che certamente non sarà mai nemico; è solo questione di tempo affinché tu diventi uno di noi, con le tue preziose differenze sulle quali, e grazie alle quali, tutti cresceremo ancora di più.
Qual è il grado di civiltà di un paese dove possono far leggi sull’educazione razzisti, ignoranti, economisti ‘creativi’, moralizzatori-con-tre-stipendi, ma nessun serio educatore?
Ancora una volta: O vergogna, dov’è il tuo rossore? (Shakespeare, Amleto, atto III)

mercoledì 19 novembre 2008

O vergogna, dov'è il tuo rossore?

Cronache dalla scuola pubblica
Settimana tipo.
L’interminabile serie di riunioni post-scuola, unitamente alle consuete ore di lavoro scolastico a casa (due ore in media per insegnante secondo la media degli indicatori internazionali Ocse), hanno costretto a limitare anche per questa settimana la vita sociale. In compenso, grazie al degrado della scuola, si è scoperto uno dei benefici della prossima ‘riforma’ scolastica. Togliendo il tempo pieno, non accadrà più che il pomeriggio si debba lavorare coi bambini al freddo e senza luce, sfruttando la luce del lampione esterno che si riflette sulla lavagna. Avrebbero potuto tagliare anche i soldi per i tecnici che da giorni cercano di risolvere il problema; si dovrebbe ricostruire da anni l’intera scuola, ma perché dovrebbero? Forse tassando lo stipendio degli insegnanti… chissà se al ministro-dai-tre-stipendi più amato dagli italiani è già venuta questa idea…

Lunedì
La corrente va e viene, c’è della nuova muffa in sala mensa, macchie sul soffitto. Costretti a prolungare la ricreazione perché almeno fuori c’è un po’ di sole mentre dentro l’umidità fa male a bambini e insegnanti.
Pomeriggio a casa, due ore di preparazione-lezione come da media Ocse (indicatori internazionali: gli insegnanti lavorano almeno due ore a casa, in media).

Martedì
Mattina fredda, la corrente va e viene.
Pomeriggio: fino alle 19 riunione coi genitori per parlare dell’andamento didattico.

Mercoledì
Mattina: si muore di freddo e manca la corrente. Pomeriggio: quattro ore in un altro plesso del circolo per un progetto, uno di quelli che rendono orgogliosi (filosofia coi bambini). In tutto, otto ore di scuola. Lo scorso anno, certificate circa 90 ore di lavoro per il progetto, ma non hanno potuto pagarne più di 20 perché non c’erano i soldi. Non è bastato risparmiare dividendo le classi e usando le compresenze per non chiamare supplenti. All’uscita, riunione con un comitato di genitori ed insegnanti per discutere dei problemi causati dai tagli alla scuola. A casa, due ore per correzione compiti (media indicatori internazionali Ocse), scannerizzazione schede per verifiche e stampa a proprie spese (la nostra scuola non dispone di fotocopiatrice).

Giovedì
I tecnici cercano ancora, su sollecitazione della direzione didattica, di riparare il guasto dell’impianto elettrico. Si lavora il pomeriggio a lume di candela per un po’, manca la corrente e fa freddo. Poi ci si ricorda che è proibito accendere candele in classe e restiamo al buio. C'è chi invidia la classe dall’altra parte della scuola, che ha un lampione fuori dalla strada che fa un po’ di luce (per giunta amplificata riflettendosi sulla lavagna). Gli insegnanti sono tutti con cappotto e giaccone, i bambini pure. Il collaboratore scolastico continua a telefonare per far aggiustare tutto; per i tecnici, il problema sono i cavi sotto terra, e l’umidità.

Venerdì
Stanno riparando il guasto alla corrente, cominciano anche a funzionare i termosifoni. Nulla da fare invece per l’intonaco che si è staccato dal soffitto della mensa a causa dell'umidità; si spostano i tavoli della scuola dell’Infanzia, anche per la muffa poco da fare, intanto il dirigente ha avvertito l’Asl.
Pomeriggio: riunione post-scuola obbligatoria, sulla privacy; viene messo a conoscenza dei docenti che il lavoro di insegnante è classificato come ‘pericoloso’ e prevede dunque delle norme di legge diverse. Se per distrazione al docente capita di affidare un alunno al padre che ha perso la potestà, rischia l’incriminazione per concorso in sequestro di persona. Se lascia il registro coi nomi dei bambini fuori dall’armadietto blindato o almeno con lucchetto, rischia denunce. Se manda al bagno un bambino e si fa male deve dimostrare che era presente. Se nel frattempo si fa male un bambino in classe deve dimostrare che era presente. In questo caso non correrà grossi rischi. Ma se i due eventi avvengono disgraziatamente nello stesso momento, deve dimostrare di avere il dono dell’ubiquità. Se il collaboratore scolastico è impegnato a riparare il fax che si guasta sempre per l’umidità, e non può sorvegliare il via vai continuo di bambini al bagno, il docente può lasciare che il bambino resti in classe, tanto la maggior parte delle volte esagerano il loro bisogno. Se poi succede che quella è l’unica volta che non esageravano e un bambino se la fa sotto, dovrà solo vedersela con la sua coscienza per averlo costretto ad una tale umiliazione, e con la giustificata rabbia dei genitori.

Sabato e domenica; le solite due ore (in perfetta media Ocse) per preparare le lezioni della settimana, i progetti, elaborare la documentazione dei progetti, preparare le programmazioni, scannerizzare alcuni testi e disegni di alunne e alunni, scrivere un paio di testi ecc., per fortuna non ci sono compiti da correggere. C’è però ancora il tempo di interrompere la preparazione della cena per rispondere al telefono e spiegare alla mamma di un’alunna quali compiti deve svolgere per lunedì. Noblesse oblige, naturalmente.

Per le prossime settimane, un’occhiata alle circolari avverte che ci sono, vicinissimi, oltre alle riunioni settimanali di routine, un collegio docenti, una riunione per la legge 626 sulla sicurezza e qualche altra cosa. Ci sarebbe anche un corso di aggiornamento sull’informatica ma non c'è più tempo a disposizione. Forse, però, avanzerà almeno il tempo per leggere, su un settimanale, degli stipendi e delle ‘furberie’ di quel ministro moralizzatore tanto amato dagli italiani, che considera fannulloni gli insegnanti, i quali, secondo lui, guadagnano anche troppo. Probabilmente uno solo dei suoi stipendi sistemerebbe tutta la scuola degradata.
Amleto, atto terzo: o vergogna, dov’è il tuo rossore?
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Che-furbetto-quel-Brunetta/2049037&ref=hpsp

mercoledì 29 ottobre 2008

DEDICATO ALLE MAESTRE RAGAZZINE


UNA PERSONA CHE DOPO TANTO TEMPO
RIVIDE IL SIGNOR K
LO SALUTO’ DICENDO
MA LEI NON E’ PER NIENTE CAMBIATO!
OH RISPOSE IL SIGNOR K E IMPALLIDI’
“Storie del Signor K.” di Bertolt Brecht


Testimonianza di una maestra sulle violenze a Piazza Navona, durante le proteste degli studenti contro i tagli alla scuola:

"Mia figlia c'era e si è spaventata tanto. Botte da orbi dal blocco studentesco lasciato entrare con un camion dentro la piazza dalla PS. Sono stati lasciati liberi di agire, di picchiare gli studenti delle superiori, e poi, quando i ragazzi più grandi dei centri sociali sono arrivati e hanno reagito, i poliziotti hanno fermato e arrestato i provocatori neri.M. e G. hanno chiesto ai poliziotti di intervenire ai primi tafferugli ma nessuno si è mosso.Io domani vado alla manifestazione e non mi voglio fare intimorire, sarò con M. e i suoi compagni che continuano a credere nella loro sana e seria protesta.E' per loro un momento forte e pieno di sentimenti contrastanti ma anche di confronto con la vita vera, con l'impegno in prima persona, con la falsità televisiva spacciata per verità <> mi dice <>.Teniamo duro, continuiamo a farci sentire, non ci possiamo fermare qui, giusto?

E’ difficile da credere, ma il signor K di cui parla Bertolt Brecht non è il signore cui viene spontaneo pensare, quello che consiglia di bastonare e mandare all’ospedale le ‘maestre ragazzine’ e gli studenti. D’altra parte, impallidire è segno di vergogna, e per vergognarsi, ci vuole un po’ di dignità. Non è lui.
http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/JMS/JMSRA.pdf.
In un paese civile e democratico, chiunque invocasse aggressioni, le consigliasse, addirittura le rivendicasse, si farebbe parecchi anni di galera. C’è un paese invece nel quale chi invoca aggressioni e le consiglia, viene evidentemente ascoltato. Qualcuno cerca di fare di meglio, e dopo aver approvato una ‘riforma’ degna del peggior medioevo, provoca gli studenti (la cui protesta, come quelle di questi giorni, è la sola forma di politica sana che si è vista in questo paese da parecchi anni) parlando di ‘ricreazione finita’. Considerando l’ignoranza dei politici nostrani, è inutile sperare che questo ‘politico’ conosca Don Milani, autore di uno scritto titolato con quella frase. Che era un maestro vero, non quella macchietta di ‘maestro unico’ che invocano coloro che fanno riforme scolastiche senza aver mai visto un libro di pedagogia.
Intanto, a riprova di quanto siano apprezzati i consigli di chi invoca ambulanze piene di ‘maestre ragazzine’ bastonate, e suggerisce di tornare a infiltrare provocatori tra gli studenti, c’è stata la prima aggressione da parte di studenti ‘di destra’, con mazze, passamontagna eccetera. Relativamente indisturbati. Complimenti, signor K. E complimenti ai politici di questo paese.

Ma soprattutto grazie di esserci, alle maestre ragazzine:


Ciao ..............più passa il tempo e più mi sento ragazzina e forse per questo dovrei cominciare a preoccuparmi?.............Certo se quel che mi si prospetta son botte, dovrei iniziare a preoccuparmi..............ma devono però considerare che le ragazzine come me sono agguerrite e difficili da domare, perchè siamo imperterrite e pensiamo!!!!!!!!.........Già il bello è che siamo ragazzine con una testa formidabile......e scusa se è poco! E probabilmente resterò ragazzina anche quando sarò "unica"!!!!!!!!!!!!!!!!!!
S.

Guarda che nelle parole del sig.K (cossiga)c'è una grande verità!Noi siamo e saremo sempre ragazzine!Avremo sempre la voglia di vivere e affrontare la vita come se fossimo eternamente giovani. E' un complimento sentirmi dare della ragazzina. Sfrontata, maleducata, ribelle!! E' proprio così che mi apostrofavano quando ero piccola!Che scuola dell'infanzia sarebbe la nostra se permettessimo a noi stesse di invecchiare dentro, di cedere allo sconforto, alla depressione da fallimento!?Grazie sig. K sarò pronta con tutte le mie giovani, anzi giovanissime idee creative a fare opposizione permanente.Sarò "RAGAZZINA" tra i giovani per riprendere, insieme a loro, un futuro che sarebbe altrimenti buio, nero. E poi domani cosa racconterei alle creature?Io non mollo! M.

Maestre ragazzine.... Chi ha dato questa definizione usandola in senso spregiativo, non ha proprio capito niente: io che, ahimè, anagraficamente non lo sono più, mi sento ragazzina nell'animo, nello spirito, nell'entusiasmo e nella passione che trasfondo nel mio lavoro; mi ha fatto molto piacere rivedere tutti noi, finalmente in tanti, accumunati da una battaglia giusta e sacrosanta. Ieri sera ho seguito su La7 il dibattito con la splendida Salacone: la scuola avrebbe bisogno di più dirigenti così! Un abbraccio P.

domenica 26 ottobre 2008

DOVERE DI INSEGNANTE, DOVERE DI UOMO


Davanti al plotone di esecuzione che stava per ammazzarlo con la sua classe di Quinta elementare, il docente aprì il libro e si mise a fare lezione. L’ufficiale nazista si fece avanti e gli chiese cosa stesse facendo. ‘Io sto facendo il mio dovere di uomo’ - rispose l’insegnante – ‘adesso voi fate quello che dovete fare’.
Kragujevac, Serbia, 1941. La Storia lo racconta, ma in pochi la ascoltano, perché non basta essere vincitori per scrivere la Storia, dipende anche da come hai vinto, perché hai vinto e se, dopo la vittoria, ti conformi a un ordine, a un altro o magari a nessun ordine. Così, l’eccidio di Kragujevac, il rastrellamento nelle classi elementari, lo sterminio di massa, la fucilazione di insegnanti, alunne e alunni, lo conoscono in pochi. Così come lo sterminio dei 300 lustrascarpe rom, che, sempre in quei luoghi, si erano rifiutati di lustrare le scarpe ai nazisti. Rimangono due monumenti, laggiù a Kragujevac, nel ‘parco della rimembranza’. Le ali spezzate.
Cosa c’entra questa storia, a parte la ricorrenza dell’anniversario (era ottobre, il 20 ottobre)? E’ blasfemo accostare un episodio simile a quanto sta accadendo in questi giorni, in questo periodo storico?
Forse no, perché quando dimentichi il passato sei costretto a riviverlo. E i nostri giorni assomigliano troppo a quelli che portarono anche a quel disastro. La guerra è sempre stata utile strumento, in periodi come questo; nulla di meglio per sfogare, indirizzandola ‘convenientemente’, la rabbia delle masse, per risollevare l’economia, per tutto il resto. Conta poco riflettere che, con le armi di cui dispongono oggi certi governi, la guerra durerebbe poco e non ci sarebbero sopravvissuti. Quelle armi non le useranno, i furbastri. O forse le useranno per sbaglio, e tanti saluti.
Non è pessimismo confrontare i periodi storici, mentre parliamo di insegnanti. Chi altri ha il dovere e l’opportunità di combattere la battaglia contro i mali origine di tutti i disastri? Ignoranza, pregiudizi, disinformazione, conformismo… I genitori lo fanno, o dovrebbero farlo, per istinto, ma i valori primari dell’educazione, quelli della morale, si possono confrontare, verificare e divenire etica di convivenza solo insieme con altre persone, in un ambiente protetto. E quale luogo migliore della scuola?
Socrate chiedeva a chi facesse comodo l’educazione. A chi ha mai fatto comodo, da quando l’etica dominante è quella del profitto, dello sfruttamento, della competizione e del dominio?
Quando, durante la guerra civile spagnola, i franchisti entravano in un paese, ammazzavano subito i maestri elementari. In Nicaragua, dopo la vittoria sandinista, i 'contras' (organizzati dagli Usa) assassinarono gli insegnanti di scuola elementare (io lo appresi anni fa, frequentando alcune riunioni della Rete Radie Resch).
Perché gli insegnanti fanno tanta paura? Perché l’educazione fa paura a chi comanda, perché educare significa rendere libero l’altro, libero di andare anche contro di te. Lo sapeva Nietzsche (La parte dell'umanità di un maestro, mettere in guardia i propri discepoli contro se stesso). Lo sapeva Tommaso d’Aquino, quanto importante fosse il maestro (cfr. il suo de magistro). Il maestro di Tommaso d’Aquino, però, non era solo un educatore, era un uomo completo. Il suo sapere explicite et perfecte portava all’autonomia dell’altro, del discente. Autonomia vuol dire libertà di scegliere dopo aver potuto ragionare sulle alternative senza condizionamenti, o in grado di riconoscere quei condizionamenti più pericolosi.
Ma chi ragiona prima di agire, non va in guerra contro il suo prossimo, non crede alle fosse comuni che non sono state mai trovate (Kosovo docet), non vota per mafiosi e delinquenti (cfr. i dati su tutti i condannati e inquisiti del parlamento, non solo quelli ‘eccellenti’ e ben conosciuti). Chi ragiona con la sua testa non tollera che un poveraccio vada in galera per una sciocchezza e altri godano di impunità immeritate. Chi ragiona con la sua testa non compra un prodotto perché lo pubblicizza una ragazza in bikini, non manda i figli a fare le belle statuine in divisa e fiocco, davanti ad un personaggio politico palesemente ignaro degli argomenti di cui parlava, e sui quali ha legiferato senza confrontarsi con gente almeno un pochino competente (l’Adoc ha chiesto di verificare quanto avvenuto in quella trasmissione, a proposito di chi strumentalizza i bambini: http://www.adoc.org/index/it/comunicati.show/sku/3932/TUTELA+MINORI%3A+Adoc%2C.html ).
Chi ragiona con la sua testa ama la logica: così non tollera che si parli di ‘tolleranza zero’ contro gli immigrati mentre un rumeno sfruttato gli ristruttura casa a due lire (euro), mentre gli immigrati sostengono l’economia; non sopporta che i bambini stranieri siano ghettizzati, non accetta che si chiedano punizioni e bocciature a vanvera contro i ragazzi ‘bulli’, mentre i politici (coloro che dovrebbero essere i migliori tra i cittadini) parlano a casaccio di fucili caldi e guerre civili, facciano le corna nelle manifestazioni internazionali, si insultino in televisione. Chi ragiona, prova rabbia a sentire quanta ignoranza e quanto scarso senso dello Stato, quanta maleducazione e incompetenza ci siano in coloro che ci rappresentano e che fanno le leggi, e non li voterebbe più. E non voterebbe nemmeno le facce di bronzo che sono contro, ‘ma anche’ a favore, se l’occasione lo richiede, se la convenienza lo richiede. Chi ragiona ama la logica, e chiederebbe ai ministri ‘moralizzatori’, che considerano eccessivi i miseri stipendi degli insegnanti, perché mai proprio loro, i ‘moralizzatori’, non rinuncino ai due stipendi che percepiscono, due stipendi altissimi (magari ‘integrati’ da ulteriori stipendi da professori universitari). In passato, c’è chi ha avuto la dignità di farlo, scegliendo tra lo stipendio da ministro o quello da parlamentare. C’è stato anche un certo Francesco Babusci, operaio, che, eletto consigliere regionale del Lazio, dovette impegnarsi di persona perché voleva a tutti i costi bloccare la pensione da operaio che continuava a percepire e che riteneva incompatibile con la sua attività di politico eletto. Ma appunto, in questo caso si parla di uomini, e di dignità.
La lista è infinita. Chi ragiona con la sua testa, non sopporta nemmeno che i figli vadano in una scuola dove alcuni (e sempre meno, per fortuna) insegnanti proclamano che ‘loro non fanno politica’. Perché la politica è arte e scienza della convivenza, e se un insegnante non fa politica, non educa. Chi ragiona con la propria testa e in piena consapevolezza è probabilmente soddisfatto che, mentre sta per scattare la sistematica distruzione dell’Iraq, alcuni insegnanti favoriscano lo scambio di lettere coi 'nemici', i bambini iracheni (al tempo, con i gemellaggi scolastici del ‘Ponte per’).
I bambini devono imparare la vera politica, quella fondata sull’etica della convivenza, ma come è possibile quando i politici sono figure di così basso spessore? Un politico francese che, a suo tempo, era riuscito nell’impresa di recuperare nei sondaggi in maniera miracolosa, e che per poco non aveva realizzato l’impresa, avendo perso si dimise, quando aveva di fronte a sé una carriera sfolgorante. Da noi, nemmeno la sconfitta più umiliante è sufficiente a certi politici per ritirarsi a vita privata. Troppi privilegi da perdere.
Il maestro davanti al nazista fece il suo dovere di uomo, non quello di insegnante, perché non c’era differenza. Non poteva, da uomo, smettere di fare il suo dovere, dando un’ultima lezione anche a quell’ufficiale nazista. Che ne pensa, il vecchio signore che in un’intervista ha consigliato (lui che evidentemente se ne intende) di bastonare soprattutto i docenti (cfr. intervista del 23 ottobre-2008, fonte:Giorno/Resto/Nazione, o anche http://www.francarame.it/node/970.)?
Forse è solo l’inizio. Per questo è bene ricordare la Storia.

La poetessa Desanka Maksimovic così racconta la vicenda di Kragujevac.Sessantasette anni fa...
FIABA CRUENTA di Desanka Maksimovic
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un giorno solo morì
di morte gloriosa.
Avevano tutti la stessa età,
scorrevano uguali per tutti
i giorni di scuola,
andavano alle cerimonie in compagnia,
li vaccinavano tutti
contro la stessa malattia.
Morirono tutti in una giornata sola.
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un solo giorno morì
di morte gloriosa.
Cinquantacinque minuti prima
che la morte se li portasse via
sedevano sui banchi di scuola
i ragazzi della piccola compagnia,
e con lo stesso compito assillante;
andando a piedi, quanto
impiega un viandante
e così via.
Erano pieni delle stesse cifre
i loro pensieri,
e nei quaderni, dentro la cartella,
giacevano assurdi innumerevoli
i cinque e gli zeri
Stringevano in saccoccia con ardore
una manciata di comuni sogni,
di comuni segreti
patriottici e d'amore.
E ognuno, lieto della propria aurora,
credeva di poter correre molto
tanto ancora
sotto l'azzurro tetto rotondo
fino a risolvere
tutti i compiti di questo mondo.
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un giorno solo morì
di morte gloriosa.
File intere di ragazzi
Si presero per mano
e, dall'ultima ora di scuola,
si avviarono alla fucilazione
calmi, col cuore forte,
come se nulla fosse la morte.
File intere di compagni
salirono nella stessa ora
verso l'eterna dimora.

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA, ottobre 1941

Il seguente articolo e' tratto da "Storia Illustrata" del gennaio 1979:

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA
In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, lapenisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Allarivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage dellapopolazione civile. di ANTONIO PITAMITZ Il 20 ottobre 1941, sei mesi dopo l'invasione tedesca della Jugoslavia, nei due Ginnasi di Kragujevac (leggi Kragujevaz), la città serba posta nel centro della regione della Šumadija, le lezioni iniziano alle 8.30, come di consueto. Sono in programma quel giorno la sintassi della lingua serbocroata, matematica, la poesia di Goethe, la fisica. In una classe, un professore croato, un profugo fuggito dal regime fascista instaurato in Croazia da Ante Pavelic, sottolinea il valore della libertà. Poco lontano, un altro spiega l'opera di un poetaserbo del romanticismo risorgimentale. La mente rivolta alle secolari lotte sostenute dai serbi per la loro indipendenza e a quella presente che cresce irresistibilmente, anch'egli parla di libertà. La voce calmae profonda che illustra i versi del poeta: "La libertà è un nettare che inebria / Io la bevvi perché avevo sete", ne nasconde a fatica la tensione, che aleggia anche nell'aula, che grava su tutti, sulla cittadina, sui suoi abitanti, e che l'eco strozzata di fucilerie lontane da alcuni giorni alimenta.Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. Laferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjeordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quislingserbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi. Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche disalvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale. L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno.Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac- Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.
È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco. Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi. È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto. Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio. A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia,uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore. Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva"comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudocontro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto alpaese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimentodai partigiani, che attaccano senza sosta. Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito.Duemilatrecento persone sono condannate a morte. La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogonell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dell'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti dellacomunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro". L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no. Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combattel'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoipropagandisti e sabotatori. L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, perrabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti. I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto" . I ragazzi credono ancora che torneranno. Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000,su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati. Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore. Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loroprotetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con lasua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo daparte. Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, allafucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando. Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdotirimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette. Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".
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