mercoledì 29 ottobre 2008

DEDICATO ALLE MAESTRE RAGAZZINE


UNA PERSONA CHE DOPO TANTO TEMPO
RIVIDE IL SIGNOR K
LO SALUTO’ DICENDO
MA LEI NON E’ PER NIENTE CAMBIATO!
OH RISPOSE IL SIGNOR K E IMPALLIDI’
“Storie del Signor K.” di Bertolt Brecht


Testimonianza di una maestra sulle violenze a Piazza Navona, durante le proteste degli studenti contro i tagli alla scuola:

"Mia figlia c'era e si è spaventata tanto. Botte da orbi dal blocco studentesco lasciato entrare con un camion dentro la piazza dalla PS. Sono stati lasciati liberi di agire, di picchiare gli studenti delle superiori, e poi, quando i ragazzi più grandi dei centri sociali sono arrivati e hanno reagito, i poliziotti hanno fermato e arrestato i provocatori neri.M. e G. hanno chiesto ai poliziotti di intervenire ai primi tafferugli ma nessuno si è mosso.Io domani vado alla manifestazione e non mi voglio fare intimorire, sarò con M. e i suoi compagni che continuano a credere nella loro sana e seria protesta.E' per loro un momento forte e pieno di sentimenti contrastanti ma anche di confronto con la vita vera, con l'impegno in prima persona, con la falsità televisiva spacciata per verità <> mi dice <>.Teniamo duro, continuiamo a farci sentire, non ci possiamo fermare qui, giusto?

E’ difficile da credere, ma il signor K di cui parla Bertolt Brecht non è il signore cui viene spontaneo pensare, quello che consiglia di bastonare e mandare all’ospedale le ‘maestre ragazzine’ e gli studenti. D’altra parte, impallidire è segno di vergogna, e per vergognarsi, ci vuole un po’ di dignità. Non è lui.
http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/JMS/JMSRA.pdf.
In un paese civile e democratico, chiunque invocasse aggressioni, le consigliasse, addirittura le rivendicasse, si farebbe parecchi anni di galera. C’è un paese invece nel quale chi invoca aggressioni e le consiglia, viene evidentemente ascoltato. Qualcuno cerca di fare di meglio, e dopo aver approvato una ‘riforma’ degna del peggior medioevo, provoca gli studenti (la cui protesta, come quelle di questi giorni, è la sola forma di politica sana che si è vista in questo paese da parecchi anni) parlando di ‘ricreazione finita’. Considerando l’ignoranza dei politici nostrani, è inutile sperare che questo ‘politico’ conosca Don Milani, autore di uno scritto titolato con quella frase. Che era un maestro vero, non quella macchietta di ‘maestro unico’ che invocano coloro che fanno riforme scolastiche senza aver mai visto un libro di pedagogia.
Intanto, a riprova di quanto siano apprezzati i consigli di chi invoca ambulanze piene di ‘maestre ragazzine’ bastonate, e suggerisce di tornare a infiltrare provocatori tra gli studenti, c’è stata la prima aggressione da parte di studenti ‘di destra’, con mazze, passamontagna eccetera. Relativamente indisturbati. Complimenti, signor K. E complimenti ai politici di questo paese.

Ma soprattutto grazie di esserci, alle maestre ragazzine:


Ciao ..............più passa il tempo e più mi sento ragazzina e forse per questo dovrei cominciare a preoccuparmi?.............Certo se quel che mi si prospetta son botte, dovrei iniziare a preoccuparmi..............ma devono però considerare che le ragazzine come me sono agguerrite e difficili da domare, perchè siamo imperterrite e pensiamo!!!!!!!!.........Già il bello è che siamo ragazzine con una testa formidabile......e scusa se è poco! E probabilmente resterò ragazzina anche quando sarò "unica"!!!!!!!!!!!!!!!!!!
S.

Guarda che nelle parole del sig.K (cossiga)c'è una grande verità!Noi siamo e saremo sempre ragazzine!Avremo sempre la voglia di vivere e affrontare la vita come se fossimo eternamente giovani. E' un complimento sentirmi dare della ragazzina. Sfrontata, maleducata, ribelle!! E' proprio così che mi apostrofavano quando ero piccola!Che scuola dell'infanzia sarebbe la nostra se permettessimo a noi stesse di invecchiare dentro, di cedere allo sconforto, alla depressione da fallimento!?Grazie sig. K sarò pronta con tutte le mie giovani, anzi giovanissime idee creative a fare opposizione permanente.Sarò "RAGAZZINA" tra i giovani per riprendere, insieme a loro, un futuro che sarebbe altrimenti buio, nero. E poi domani cosa racconterei alle creature?Io non mollo! M.

Maestre ragazzine.... Chi ha dato questa definizione usandola in senso spregiativo, non ha proprio capito niente: io che, ahimè, anagraficamente non lo sono più, mi sento ragazzina nell'animo, nello spirito, nell'entusiasmo e nella passione che trasfondo nel mio lavoro; mi ha fatto molto piacere rivedere tutti noi, finalmente in tanti, accumunati da una battaglia giusta e sacrosanta. Ieri sera ho seguito su La7 il dibattito con la splendida Salacone: la scuola avrebbe bisogno di più dirigenti così! Un abbraccio P.

domenica 26 ottobre 2008

DOVERE DI INSEGNANTE, DOVERE DI UOMO


Davanti al plotone di esecuzione che stava per ammazzarlo con la sua classe di Quinta elementare, il docente aprì il libro e si mise a fare lezione. L’ufficiale nazista si fece avanti e gli chiese cosa stesse facendo. ‘Io sto facendo il mio dovere di uomo’ - rispose l’insegnante – ‘adesso voi fate quello che dovete fare’.
Kragujevac, Serbia, 1941. La Storia lo racconta, ma in pochi la ascoltano, perché non basta essere vincitori per scrivere la Storia, dipende anche da come hai vinto, perché hai vinto e se, dopo la vittoria, ti conformi a un ordine, a un altro o magari a nessun ordine. Così, l’eccidio di Kragujevac, il rastrellamento nelle classi elementari, lo sterminio di massa, la fucilazione di insegnanti, alunne e alunni, lo conoscono in pochi. Così come lo sterminio dei 300 lustrascarpe rom, che, sempre in quei luoghi, si erano rifiutati di lustrare le scarpe ai nazisti. Rimangono due monumenti, laggiù a Kragujevac, nel ‘parco della rimembranza’. Le ali spezzate.
Cosa c’entra questa storia, a parte la ricorrenza dell’anniversario (era ottobre, il 20 ottobre)? E’ blasfemo accostare un episodio simile a quanto sta accadendo in questi giorni, in questo periodo storico?
Forse no, perché quando dimentichi il passato sei costretto a riviverlo. E i nostri giorni assomigliano troppo a quelli che portarono anche a quel disastro. La guerra è sempre stata utile strumento, in periodi come questo; nulla di meglio per sfogare, indirizzandola ‘convenientemente’, la rabbia delle masse, per risollevare l’economia, per tutto il resto. Conta poco riflettere che, con le armi di cui dispongono oggi certi governi, la guerra durerebbe poco e non ci sarebbero sopravvissuti. Quelle armi non le useranno, i furbastri. O forse le useranno per sbaglio, e tanti saluti.
Non è pessimismo confrontare i periodi storici, mentre parliamo di insegnanti. Chi altri ha il dovere e l’opportunità di combattere la battaglia contro i mali origine di tutti i disastri? Ignoranza, pregiudizi, disinformazione, conformismo… I genitori lo fanno, o dovrebbero farlo, per istinto, ma i valori primari dell’educazione, quelli della morale, si possono confrontare, verificare e divenire etica di convivenza solo insieme con altre persone, in un ambiente protetto. E quale luogo migliore della scuola?
Socrate chiedeva a chi facesse comodo l’educazione. A chi ha mai fatto comodo, da quando l’etica dominante è quella del profitto, dello sfruttamento, della competizione e del dominio?
Quando, durante la guerra civile spagnola, i franchisti entravano in un paese, ammazzavano subito i maestri elementari. In Nicaragua, dopo la vittoria sandinista, i 'contras' (organizzati dagli Usa) assassinarono gli insegnanti di scuola elementare (io lo appresi anni fa, frequentando alcune riunioni della Rete Radie Resch).
Perché gli insegnanti fanno tanta paura? Perché l’educazione fa paura a chi comanda, perché educare significa rendere libero l’altro, libero di andare anche contro di te. Lo sapeva Nietzsche (La parte dell'umanità di un maestro, mettere in guardia i propri discepoli contro se stesso). Lo sapeva Tommaso d’Aquino, quanto importante fosse il maestro (cfr. il suo de magistro). Il maestro di Tommaso d’Aquino, però, non era solo un educatore, era un uomo completo. Il suo sapere explicite et perfecte portava all’autonomia dell’altro, del discente. Autonomia vuol dire libertà di scegliere dopo aver potuto ragionare sulle alternative senza condizionamenti, o in grado di riconoscere quei condizionamenti più pericolosi.
Ma chi ragiona prima di agire, non va in guerra contro il suo prossimo, non crede alle fosse comuni che non sono state mai trovate (Kosovo docet), non vota per mafiosi e delinquenti (cfr. i dati su tutti i condannati e inquisiti del parlamento, non solo quelli ‘eccellenti’ e ben conosciuti). Chi ragiona con la sua testa non tollera che un poveraccio vada in galera per una sciocchezza e altri godano di impunità immeritate. Chi ragiona con la sua testa non compra un prodotto perché lo pubblicizza una ragazza in bikini, non manda i figli a fare le belle statuine in divisa e fiocco, davanti ad un personaggio politico palesemente ignaro degli argomenti di cui parlava, e sui quali ha legiferato senza confrontarsi con gente almeno un pochino competente (l’Adoc ha chiesto di verificare quanto avvenuto in quella trasmissione, a proposito di chi strumentalizza i bambini: http://www.adoc.org/index/it/comunicati.show/sku/3932/TUTELA+MINORI%3A+Adoc%2C.html ).
Chi ragiona con la sua testa ama la logica: così non tollera che si parli di ‘tolleranza zero’ contro gli immigrati mentre un rumeno sfruttato gli ristruttura casa a due lire (euro), mentre gli immigrati sostengono l’economia; non sopporta che i bambini stranieri siano ghettizzati, non accetta che si chiedano punizioni e bocciature a vanvera contro i ragazzi ‘bulli’, mentre i politici (coloro che dovrebbero essere i migliori tra i cittadini) parlano a casaccio di fucili caldi e guerre civili, facciano le corna nelle manifestazioni internazionali, si insultino in televisione. Chi ragiona, prova rabbia a sentire quanta ignoranza e quanto scarso senso dello Stato, quanta maleducazione e incompetenza ci siano in coloro che ci rappresentano e che fanno le leggi, e non li voterebbe più. E non voterebbe nemmeno le facce di bronzo che sono contro, ‘ma anche’ a favore, se l’occasione lo richiede, se la convenienza lo richiede. Chi ragiona ama la logica, e chiederebbe ai ministri ‘moralizzatori’, che considerano eccessivi i miseri stipendi degli insegnanti, perché mai proprio loro, i ‘moralizzatori’, non rinuncino ai due stipendi che percepiscono, due stipendi altissimi (magari ‘integrati’ da ulteriori stipendi da professori universitari). In passato, c’è chi ha avuto la dignità di farlo, scegliendo tra lo stipendio da ministro o quello da parlamentare. C’è stato anche un certo Francesco Babusci, operaio, che, eletto consigliere regionale del Lazio, dovette impegnarsi di persona perché voleva a tutti i costi bloccare la pensione da operaio che continuava a percepire e che riteneva incompatibile con la sua attività di politico eletto. Ma appunto, in questo caso si parla di uomini, e di dignità.
La lista è infinita. Chi ragiona con la sua testa, non sopporta nemmeno che i figli vadano in una scuola dove alcuni (e sempre meno, per fortuna) insegnanti proclamano che ‘loro non fanno politica’. Perché la politica è arte e scienza della convivenza, e se un insegnante non fa politica, non educa. Chi ragiona con la propria testa e in piena consapevolezza è probabilmente soddisfatto che, mentre sta per scattare la sistematica distruzione dell’Iraq, alcuni insegnanti favoriscano lo scambio di lettere coi 'nemici', i bambini iracheni (al tempo, con i gemellaggi scolastici del ‘Ponte per’).
I bambini devono imparare la vera politica, quella fondata sull’etica della convivenza, ma come è possibile quando i politici sono figure di così basso spessore? Un politico francese che, a suo tempo, era riuscito nell’impresa di recuperare nei sondaggi in maniera miracolosa, e che per poco non aveva realizzato l’impresa, avendo perso si dimise, quando aveva di fronte a sé una carriera sfolgorante. Da noi, nemmeno la sconfitta più umiliante è sufficiente a certi politici per ritirarsi a vita privata. Troppi privilegi da perdere.
Il maestro davanti al nazista fece il suo dovere di uomo, non quello di insegnante, perché non c’era differenza. Non poteva, da uomo, smettere di fare il suo dovere, dando un’ultima lezione anche a quell’ufficiale nazista. Che ne pensa, il vecchio signore che in un’intervista ha consigliato (lui che evidentemente se ne intende) di bastonare soprattutto i docenti (cfr. intervista del 23 ottobre-2008, fonte:Giorno/Resto/Nazione, o anche http://www.francarame.it/node/970.)?
Forse è solo l’inizio. Per questo è bene ricordare la Storia.

La poetessa Desanka Maksimovic così racconta la vicenda di Kragujevac.Sessantasette anni fa...
FIABA CRUENTA di Desanka Maksimovic
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un giorno solo morì
di morte gloriosa.
Avevano tutti la stessa età,
scorrevano uguali per tutti
i giorni di scuola,
andavano alle cerimonie in compagnia,
li vaccinavano tutti
contro la stessa malattia.
Morirono tutti in una giornata sola.
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un solo giorno morì
di morte gloriosa.
Cinquantacinque minuti prima
che la morte se li portasse via
sedevano sui banchi di scuola
i ragazzi della piccola compagnia,
e con lo stesso compito assillante;
andando a piedi, quanto
impiega un viandante
e così via.
Erano pieni delle stesse cifre
i loro pensieri,
e nei quaderni, dentro la cartella,
giacevano assurdi innumerevoli
i cinque e gli zeri
Stringevano in saccoccia con ardore
una manciata di comuni sogni,
di comuni segreti
patriottici e d'amore.
E ognuno, lieto della propria aurora,
credeva di poter correre molto
tanto ancora
sotto l'azzurro tetto rotondo
fino a risolvere
tutti i compiti di questo mondo.
Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un giorno solo morì
di morte gloriosa.
File intere di ragazzi
Si presero per mano
e, dall'ultima ora di scuola,
si avviarono alla fucilazione
calmi, col cuore forte,
come se nulla fosse la morte.
File intere di compagni
salirono nella stessa ora
verso l'eterna dimora.

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA, ottobre 1941

Il seguente articolo e' tratto da "Storia Illustrata" del gennaio 1979:

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA
In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, lapenisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Allarivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage dellapopolazione civile. di ANTONIO PITAMITZ Il 20 ottobre 1941, sei mesi dopo l'invasione tedesca della Jugoslavia, nei due Ginnasi di Kragujevac (leggi Kragujevaz), la città serba posta nel centro della regione della Šumadija, le lezioni iniziano alle 8.30, come di consueto. Sono in programma quel giorno la sintassi della lingua serbocroata, matematica, la poesia di Goethe, la fisica. In una classe, un professore croato, un profugo fuggito dal regime fascista instaurato in Croazia da Ante Pavelic, sottolinea il valore della libertà. Poco lontano, un altro spiega l'opera di un poetaserbo del romanticismo risorgimentale. La mente rivolta alle secolari lotte sostenute dai serbi per la loro indipendenza e a quella presente che cresce irresistibilmente, anch'egli parla di libertà. La voce calmae profonda che illustra i versi del poeta: "La libertà è un nettare che inebria / Io la bevvi perché avevo sete", ne nasconde a fatica la tensione, che aleggia anche nell'aula, che grava su tutti, sulla cittadina, sui suoi abitanti, e che l'eco strozzata di fucilerie lontane da alcuni giorni alimenta.Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. Laferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjeordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quislingserbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi. Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche disalvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale. L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno.Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac- Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.
È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco. Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi. È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto. Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio. A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia,uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore. Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva"comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudocontro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto alpaese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimentodai partigiani, che attaccano senza sosta. Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito.Duemilatrecento persone sono condannate a morte. La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogonell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dell'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti dellacomunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro". L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no. Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combattel'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoipropagandisti e sabotatori. L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, perrabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti. I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto" . I ragazzi credono ancora che torneranno. Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000,su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati. Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore. Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loroprotetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con lasua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo daparte. Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, allafucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando. Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdotirimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette. Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".
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